Fatico a comprendere il “caso burkini”. Sia nella sua versione francese, col Comune di Cannes che multa le bagnanti in tenuta islamica, sia in quella nostrana, con alcuni politici che chiedono di estendere il divieto alle nostre spiagge. Credo nella libertà. E credo che vietare a quelle donne di vivere la balneazione come vogliono significhi vietare loro l’accesso. Qualcuno la mette sul piano igienico. Come dire, il burkini porta germi e batteri. Davvero? E che dire dei tanti abituali frequentatori di mari,
laghi e piscine che vivono un rapporto conflittuale col sapone, trascurano doccia e shampoo e, spesso e volentieri, orinano nella pubblica vasca? Devo forse pensare che la “muta islamica” disturbi il pubblico decoro più dei vuncioni occidentali? Altri si spingono più in là, ergendosi a paladini (non richiesti) delle donne musulmane, costrette a coprirsi dai maschi schiavisti. Tradotto: prima lasci una signora fuori dalla porta e poi le spieghi che è per il suo bene. Non scherziamo. La libertà è tale se tutti possono goderne, a patto che non danneggino il prossimo. Chi scaglia dardi contro le teocrazie liberticide e poi impone i suoi costumi (da bagno e non) non esprime coerenza ma confusione, finendo per ricalcare quelle forme di tirannia che pretende di combattere. Infine, vi prego: non fatene una questione di buon gusto. A me non entusiasma vedere una donna velata. Ma non mi piacciono nemmeno gli eccessi volgari e modaioli cui la nostra (sub)cultura di massa costringe molte ragazze a omologarsi. Bollandole come oggetti del desiderio, in caso di adesione. O come sfigate, in caso di diniego. Non è anche quella, a suo modo, una forma di sottomissione?