«Base rossa con inserti bianchi. Ma occhio ai dettagli portasfiga»

Oggetto Sacro - Marco Tomasetto ci racconta le divise impresse nel cuore

Fa sognare. È appartenenza, romanticismo. Genera ricordi, scatena passioni, regala emozioni. Accomuna i campioni e trascende la storia, qualsiasi destino gli sia toccato. Ed è quanto di più sacro ci sia per i tifosi, che venerano i suoi colori a prescindere da chi la indossi.
Certo, l’avete capito: è la maglia. In questo caso, quella del Varese. Insieme a Marco Tomasetto, storico supporter del Varese («abbonato dal 1978, settore distinti») e grande appassionato («quasi malato») di storia e statistiche del Varese, vi portiamo in un piccolo viaggio tra le divise che sono rimaste nel cuore dei tifosi biancorossi.

La base è la divisa del Varese di Eugenio Fascetti, con quel gessato sul rosso, a cui è stato aggiunto lo sponsor Tigros (inizio anni ’90). Appena l’ho vista ho pensato ad una vittoria epica, quell’1-0 nel ritorno degli ottavi di Coppa Italia (andata 2-0) contro l’Inter: gol di Di Giovanni. Una partita fantastica, memorabile. Intimorimmo la grande Inter diverse volte, sfiorando i supplementari. In quegli anni in Coppa il Varese giocò partite incredibili: 2-2 con la Lazio e con l’Udinese di Zico, 0-0 con la Roma vicecampione d’Europa… Sfide forse un po’ dimenticate che tornano così alla mente.

Eccome: la userei come prima maglia per la prossima stagione. Ricorda quella grande squadra, ma con un template moderno: non è una maglia che richiama una storicità che non c’è più, ma un bel mix fra nostalgica tradizione e futuro.

Perfetta. Io la vedo sempre di quel colore, come quella che ai tempi usava Rampulla.

Bello: danno valore a quello che ogni singolo ragazzo ha fatto per questa squadra.

Mi piace, ma c’è poco bianco. Il rosso è giusto che predomini, ma la maglia del Varese vuole inserti o bordi bianchi, pantaloncini bianchi, calzettoni rossi. La divisa per eccellenza è quella degli anni ’70: rosso con bordo bianco, calzoncini bianchi, calzettoni rossi. Numeri belli grandi e visibili, nitidi. Si vedeva che era di fattura artigianale. Erano divise “umane” e potevi trovarle uguali nelle categorie minori. Una volta andavi al mercato, compravi una maglietta biancorossa e ti sentivi un giocatore del Varese.

In genere non porta bene. Nel ’78-’79 giocammo in rosso e con quattro righe bianche verticali sul lato sinistro. Da bambino non l’accettai: assomigliava troppo a quella del Monza, nostra storica rivale. Voleva assomigliare a quella dell’Aberdeen, ma non mi sembrava quella del Varese. Era anche bella, ma non era nostra.

E siamo retrocessi in C1. Ci sono alcuni dettagli “sfortunati” che la storia consiglia di evitare: la V grande sul petto è bella, ma porta una sfiga immane. Stesso discorso per le righe orizzontali: così siamo retrocessi dalla B (e non ci siamo tornati per 25 anni) nel 1984/85.

Scaramanzia, perché così iniziò la scalata di Sannino. Ma relegare il rosso alla seconda maglia è un sacrilegio: per i tifosi storici, inaccettabile.

Alcune, molto particolari, che non sono rimaste nella memoria di tanti. Una era a piccoli rombi, sponsor Tigros. Un anno abbiamo giocato con una maglia molto simile a quella dell’Arsenal (rossa, maniche bianche) e un altro anno con una in stile Ajax (bianca con striscione rosso al centro).

Per quelli della mia generazione non c’è dubbio: quella col logo Hoonved, il primo della nostra storia, e quei numeri speciali, dell’era Fascetti. Una squadra che diede lezioni a tutte le big. Per livello tecnico e spettacolo, il miglior Varese di sempre. E quella maglia è leggenda, misticismo puro.

Bellissimo quello bianco e rosso con la V dorata dell’era Borghi e particolare quello rotondo con quella strana V col pallone vicino. Ma quello attuale è perfetto: richiama alla perfezione quello della Varese sportiva che passò dal bianco e viola al bianco e rosso. Da tifoso mi piace, è il nostro logo nella storia.

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