«Stipati in quella macchina si parlava solo del Varese»

Una squadra di famiglia - Tiziano Masini e una passione sconfinata, ereditata dal nonno e dal papà

Andate a chiedere a Tiziano Masini che cos’è il Varese. Andate a chiedergli se davvero è il caso di farsi matti per quei due colori, per quella squadra, per quel passato. Andate e fatevelo raccontare quello che c’è dietro, dietro a una passione che solo chi vive può capire e fare sua. «Cosa mi viene in mente se penso a questa stagione del Varese? A una maglietta, indossata da noi tifosi all’Olimpico per la sfida di Coppa Italia con la Lazio. Davanti c’era scritto “Keep calm and Support Varese” e dietro c’erano tutti gli stadi in cui eravamo andati a giocare, dall’Eccellenza alla serie B. Ecco: lì c’è dentro tutto».

Eccolo, Tiziano Masini. Mai banale, figuriamoci quando lo si fa parlare del Varese. Del suo Varese. «In quella maglietta c’è dentro tutto perché la frase è attuale: bisogna tifare Varese, e allo stesso tempo bisogna avere pazienza perché quello che abbiamo perso tornerà. E poi, scriveremo ancora tanti posti nuovi nei quali siamo andati a giocare». Una giornata speciale, per i 106 anni e per una serie D che manca pochissimo e sarà cosa fatta.


Ecco: per Masini questa giornata cos’è. «È Pietro Anastasi che torna a Masnago per dare il calcio d’inizio alla partita. Lui è arrivato qui dalla Sicilia, cinquant’anni fa, e con il Varese è diventato Anastasi: poi è andato alla Juventus, ha vinto gli Europei con la nazionale, ha segnato valanghe di gol. Ma alla fine è tornato a Varese. E allora dico che questo dev’essere il nostro obiettivo: tutti dobbiamo lavorare perché i giocatori crescano da noi, diventino forti, partano e poi sentano forte il desiderio di tornare. Anastasi ha segnato un gol nella finale che ha regalato all’Italia l’unica vittoria agli Europei: e in quel momento lui era ancora un giocatore del Varese, stava per passare alla Juve. Ecco: lavoriamo per avere, un giorno, un altro fenomeno così».
No, il Varese per Tiziano Masini non è uno scherzo. Per lui il Varese è sangue: è un affare di famiglia. «Io sono stato tirato su così, allo stadio e con il Varese. Da mio papà Sandro, ma anche dai miei zii Carlo e Gabriele. E poi c’era lui, il nonno Marco che aveva un ristorante, il vecchio Lago Maggiore. Tutte le domeniche in cui il Varese giocava in casa noi partivamo dal ristorante alle 14.15 alle 14.29 eravamo allo stadio un minuto prima del fischio d’inizio. Entravamo dal cancello di via Vellone, dove all’epoca non c’era il campetto ma uno sterrato che fungeva da parcheggio. Ed è per questo che ce la facevamo pur partendo da via Carrobbio alle due e un quarto. Poi ci mettevamo tutti in tribuna, uno di fianco all’altro, e vedevamo la partita».

Per uno tirato su così è anche difficile pensare che nel suo cuore sportivo possa esserci spazio anche per qualcos’altro, per un’altra squadra. Esatto: per Tiziano Masini esiste solo e soltanto il Varese, e non parlategli di altre squadre. «Quando partivamo dal ristorante, tutti in macchina, il nonno con il papà e gli zii parlavano. E parlavano, rigorosamente in dialetto, solo ed esclusivamente del Varese: il campionato, la sfida che stavamo per andare a vedere, la partita della settimana prima, questo o quel giocatore. Ecco perché per me c’è sempre stato solo il Varese: non ho mai sentito parlare di altre squadre, non mi sono mai appassionato a nulla che non fosse il Varese. E oggi quando qualcuno mi chiede per chi faccio il tifo, mi viene quasi naturale rispondere. Io tifo per il Varese».

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